Al di là di possibili considerazioni di ordine antropologico – persino troppo scontate e banali – la serie di ritratti che porta il titolo “Gli altri” costringe piuttosto a uno sforzo interpretativo di taglio più articolato, più approfondito.
Le differenze somatiche delle diverse razze rappresentate da Susanna Viale in questi suoi lavori, in realtà, sono un aspetto assolutamente secondario sul quale l’Artista non intende soffermarsi troppo.
E lo si nota subito. Nasi camusi, occhi a mandorla, labbra carnose sono accennati, rappresentano semplici allusioni. L’Artista va oltre il limite della razza. Il suo obiettivo, di umana e solidale compartecipazione, è quello di trasmettere un messaggio universale con l’intento di accomunare, non certo di dividere.
E ciò che accomuna questa umanità dolente, impietosamente descritta ai nostri sguardi spesso impartecipi, è, appunto, la sofferenza, la paura del futuro, il dolore, la mancanza di speranza.
Ben risaltata nei colori bruni, fulvi, ambrati, terrigni, carichi all’inverosimile, pastosi e nelle pennellate vigorose, energiche, scultoree nella loro capacità espressiva. Ma andiamo più in profondità nella nostra analisi. Quali sono gli elementi basilari di questi ritratti? Il viso e le mani, naturalmente.
E proprio dal confronto, quasi sempre dicotomico, di questi due elementi, nasce l’originalità assoluta del messaggio della Viale. Il viso rappresenta, come noto, in quasi tutte le interpretazioni, non solo di taglio psicoanalitico, l’anima, lo spirito, il trascendente.
Le mani, al contrario, simboleggiano la realtà, la fatica quotidiana, il contingente, l’hic et nunc. In quasi tutti i ritratti della serie è il dialogo o lo scontro tra questi due elementi che balza prepotentemente in primo piano. Una breve carrellata per intenderci. La mano che sostiene il viso (“Asiatica”). Le mani aperte sulle guance, quasi a proteggerlo (“Aborigeno”). La mano timida che vela un’espressione delusa (“Caraibico”). Il pollice della mano che preme sugli occhi chiusi e dolenti (“Donna di colore”). Mani quasi in preghiera, con i pollici nelle orbite oculari (“Uomo di colore”). Mano sulla fronte (“Bianco non occidentale”). Mano che sorregge (“Tibetana”).
E quando la mano non è rappresentata ne rimane pur sempre una presenza fantasmatica (“Islamico”) che fa crescere lo straniamento verso una civiltà che abbiamo difficoltà a comprendere.
A questo tipo di interpretazione, si presta bene anche l’opera “Piccolo Budda”: gli occhi del bimbo, grandi, sono spalancati sul futuro; la sua mano, piccola, sulla bocca socchiusa pare pronta a veicolare il Verbo di una speranza religiosa e trascendente. Mentre la mano che sorregge volitivamente il sigaro in “Spirito di libertà”, rappresenta con ottimismo e franca generosità la speranza di rivincita sociale mai del tutto sopita, in un rapporto diretto e felice tra l’idealità (viso, bocca) in grado di controllare e modificare la realtà (la mano e il sigaro acceso tra le dita), con l’auspicio che il cambiamento sia finalmente possibile.
Senza sovrastrutture ideologiche o politiche forzate, che talora sviliscono un messaggio artistico, Viale quindi porta avanti con determinazione e pregevole coerenza il suo lavoro. A noi fruitori delle sue opere non resta che l’impazienza e la curiosità di conoscere verso quali strade ci condurranno ancora le sue preziose intuizioni.