L’incontro con Susanna e l’amicizia che ne è nata ha dell’insolito. Prima di conoscere Susanna come persona, ho apprezzato le sue opere. Diversi anni fa, stavo lavorando a un catalogo della Giorgio Mondadori. Ho visto le riproduzioni dei suoi quadri e mi sono incuriosito. Ho fatto una ricerca, ho scoperto il suo sito e sono state proprio le sue opere a far nascere in me il desiderio di approfondire questa conoscenza.
E il viaggio che ho intrapreso attraverso la sua espressività artistica, alla fine è stato anche un viaggio attraverso me stesso, una ricerca interiore che mi ha permesso di scoprire cose che non conoscevo.
Non sto dicendo niente di nuovo, in realtà. La funzione dell’arte alla fine è questa. Jean Guitton, il filosofo che in età avanzata si era scoperto pittore, disse una volta una cosa molto bella: “La pittura è per me una psicoanalisi del mio profondo che fa sorgere i miei fantasmi ignorati, i miei angeli ignoti”.
E tutti abbiamo fantasmi e angeli dentro di noi che non conosciamo. Susanna Viale ha intrapreso il suo percorso per scoprire e farci scoprire angeli e fantasmi. Una scoperta che si sta facendo via via più emozionante, anche perché ci conduce verso i territori inesplorati della spiritualità. Ma andiamo con ordine.
Cosa dire della sua progressiva evoluzione pittorica? Della sua accresciuta ma non certo inattesa sensibilità ai temi del sociale? Dell’attenzione all’altro? Susanna viaggia molto per il mondo. Vive tra la gente. Ne assorbe i sentimenti, mentre ne esplora gli sguardi, ne scandaglia i gesti con umile e devota attenzione. Non è un’operazione documentaristica la sua, ma il bisogno di capire, di penetrare la realtà. E la sua operazione ha qualcosa di mistico.
Spiego meglio questo aggettivo che può sembrare paradossale. Per alcuni la mistica è una specie di volo d’uccelli, una danza aerea, un decollo dalla carne e dalla terra verso i cieli, ma invece io la intendo come la intendeva Giovanni della Croce, quando diceva che “il mistico lavora la terra, ama plasmare il fango delle zolle rendendolo vivo, trasformandolo in creatura e parola”. E questa definizione mi pare si adatti perfettamente al lavoro della Viale. Aveva ragione il poeta Charles Peguy quando diceva: “Un mondo senza mistica diventa un mondo disincarnato!”.
Viale trasfigura i personaggi e la realtà che vede. E, così facendo, compie anche un’operazione etica. La relazione etica è, per sua natura, asimmetrica. Ci viene in aiuto il filosofo Levinàs, che dice: “Il mio io si lascia interpellare dal volto dell’altro, del povero del debole, del bisognoso, e si lascia liberamente provocare all’azione senza aspettarsi niente in cambio”.
Il primato dell’altro e la relazione asimmetrica portano a un senso diverso del concetto di uguaglianza tra individui. Per Levinàs, come per Viale, conta più la fraternità che l’uguaglianza. “Il fatto originario della fraternità è costituito dalla mia responsabilità di fronte a un volto che mi guarda come assolutamente estraneo” continua il filosofo…
Viale, in altri termini, ci fa conoscere coloro che sono meno fortunati di noi, che sono esclusi dal circuito del benessere, che lottano quotidianamente per sopravvivere, che rappresentano, per certi aspetti, la nostra coscienza “malata”, ma che nelle sue opere non perdono mai la loro dignità, il loro orgoglio, la loro profonda, calda umanità.
In un’epoca nella quale sempre di più ci chiudiamo nel nostro egoismo, nelle nostre case, innalziamo steccati, abbiamo paura degli altri, visti sempre come diversi da noi, alla fine perderemo il valore della realtà, per vivere la nostra vita non soltanto senza ideali, come già succede, purtroppo, ma anche senza senso. Ricordiamoci che il reale è essenzialmente alterità: senza alterità non c’è realtà. Gli altri sono il solo tramite che ci consente di conoscerci nelle nostre possibilità di esistere. Viale, in altri termini, con le sue opere cerca di ridare la parola a coloro ai quali era stata negata…
Osservando uno dei suoi lavori più significativi, il “mercato dello Yemen”, ci si sente coinvolti in pieno: si viene colti da una suggestione di movimento, rumore, odori forti, come se il quadro fosse vivo, pulsasse di umanità con un effetto scenografico di notevole impatto che non lascia indifferenti.
Di Viale mi piace la sua “forza” pittorica, la sua concretezza, la densità delle sue pennellate, la sua generosità. Una volta ho scritto che i suoi colori “gridano”. Ma è un grido di ribellione che ci sentiamo di condividere. E che ci fa bene. Vorrei a questo punto introdurre un’altra citazione che mi pare si adatti bene all’opera di Viale. Si tratta di una frase del pittore russo Vasilij Kandinskij che nella sua opera “Lo spirituale nell’ arte” scrisse: “Il colore è un mezzo per esercitare sull’anima un’influenza diretta. Il colore è il tasto, l’occhio è il martelletto che lo colpisce, l’anima lo strumento dalle mille corde”.
Ecco, se la smettiamo di stare sulla difensiva, se abbassiamo la guardia per un attimo, se lasciamo che i colori delle opere di Viale, e quindi il messaggio che l’artista veicola, dalle retine arrivino liberamente al nostro cuore, possiamo dire di aver fatto un bel passo in avanti. Un passo verso la tolleranza, il rispetto e, infine, verso la libertà. Degli altri, ma anche, e soprattutto, nostra.
E nel percorso verso la nostra libertà, Viale non si ferma. Desidera intraprendere la strada dello spirituale, affronta il mistero della vita attraverso strade che la conducono a un sincretismo che in certi casi può apparire azzardato ma è sempre intelligentemente provocatorio.
Esaminando le due opere che fanno parte del soggetto “Degenerazioni” comprendiamo che si sta compiendo nell’artista una reazione etica di grande portata. La realtà diventa simbolo attraverso la sua ricerca pittorica. Simbolo forte, pesante come nella “sozza dea”, cioè la fama, mostro dai tanti occhi e dalle tante bocche, di fronte al quale molti si inginocchiano in adorazione e per descrivere il quale si recuperano in modo opportuno i possenti versi dell’Eneide: “…seminando non men che ‘l bene e’l vero, il male e il falso”. Come non accostare questa immagine con quelle, rese attualissime dai recenti scandali, del successo a ogni costo?
Anche in “Guerre dimenticate” il discorso è intriso di messaggi simbolici, densi e dolorosi. E’ angosciante lo sguardo di chi emerge dal buio e con la mano artigliata in primo piano cerca di afferrare i teschi, quasi l’unica realtà possibile e drammaticamente concreta in un mondo che lascia poche speranze.
Nelle opere che vanno sotto il titolo generale di “Evoluzione spirituale” il discorso richiede una attenzione maggiore. Ci sono lavori già maturi, vedasi “Verso la luce”, dove la scultorea nudità che rappresenta lo spirito si orienta verso il chiarore deciso della verità. E la “Spirale di Venere”, dove il trionfo dell’eterno femminino, nei corpi nudi variamente colti nei loro gesti e movimenti, raggiunge valori elevati di fascinosa provocazione.
L’artista, però, è consapevole anche che sta affrontando un momento delicato della sua ricerca: deve riflettere ancora sulle scelte da compiere; scorgiamo qua e là delle incertezze, delle esitazioni, dei pudori che sono il segnale, peraltro positivo, della sua ansia di arrivare a padroneggiare ambiti spesso rarefatti e indefiniti che, se non controllati, possono rivelarsi fatue e pericolose illusorietà.