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PATRIZIA RAINERI

Ciò che mi colpì, quando per la prima volta mi trovai dinanzi ai quadri di Susanna Viale, fu l’impressione di sentirmi come in una sorta di mappa – forse geografica, ma più probabilmente psicologica e sociale -, che richiedeva di essere guardata in maniera complessiva per poter essere decifrata.

Come se Susanna Viale, infaticabile e moderna Pollicino, avesse lasciato cadere su ogni tela una parola, apparentemente di senso finito, ma che sembrava però acquistare un significato vero e proprio soltanto in rapporto con tutte le altre.

Uno, due, cinque, dieci, venti, trenta. I quadri esposti nelle mostre temporanee, quelli in collezioni private italiane e straniere, quelli che Susanna Viale conserva gelosamente nel suo studio sono tanti, indici di una produzione brillante e fervente. Il sorriso semplice e gentile della pittrice mi accompagna tra le tele, nell’esplorazione di un mondo che passo dopo passo diventa sempre più chiaro.

Susanna Viale vive a Torino, una città molto attenta all’arte contemporanea e spesso anche fin troppo incoraggiante nelle sperimentazioni artistiche e nelle contaminazioni tra i linguaggi. Susanna Viale però ha disdegnato le sperimentazioni e ha scelto la pittura.

Un po’ come agli inizi degli anni Ottanta fecero in Italia le avanguardie e in particolare la Transavanguardia, che opponendosi alle ricerche concettuali, propugnò un ritorno del pittoresco, dell’immagine e una ripresa dei legami fondamentali con l’arte dei secoli precedenti.

C’è chi ha visto nello stile di Susanna Viale un richiamo all’arte tedesca espressionista, a Kirchner, Nolde, ma anche a Ensor, Munch, Kokoscha, ai fauve francesi, soprattutto per la scelta della tavolozza. Ha cominciato a dipingere da bambina e da allora non ha mai smesso di raccontare le sue emozioni con il pennello.

Nel periodo in cui seguiva le lezioni di Sergio Albano il suo stile si era avvicinato al Surrealismo e al Metafisico. Nelle tele tra il ’95 e il ’97 si riconosce invece una tendenza all’astrattismo. Attraversata poi una fase divisionista, talvolta ancora presente nelle ultime produzioni, superate quelle raffigurazioni di linee e forme geometriche, Susanna Viale si è ora arrestata ad una pittura espressionista dal cromatismo acceso.

Il rapporto di questa pittura con la fotografia si rivela da subito, nei tagli, nei punti di vista, nel modo di fermare sulla tela i movimenti.

La Viale continua a rimanere fedele alla sua scelta di esprimersi con la pittura e di rifiutare le contaminazioni artistiche. Nel suo studio ha centinaia di fotografie, scattate durante i tanti viaggi compiuti in tutto il mondo, ma preferisce non mescolare la pittura alla fotografia, scindere il linguaggio che sente suo, anche a livello professionale, con quello che invece crede soltanto una passione.

Eppure la contaminazione tra i due linguaggi esiste e per accorgersene basterà guardare “Scuola in Burkina Faso”, un quadro emblematico per capire quanto i caratteri della fotografia siano iscritti nei suoi quadri. Entrambe raccontano la realtà, anche se ovviamente la pittura ne crea una di ordine a se stante.

Entrambe sono un avvicendarsi di spazi colorati. L’attenzione della pittrice è rivolta alla figura umana, al suo movimento e in particolare alla danza, ma soprattutto all’uomo inserito in una società. I soggetti dei suoi quadri sono i popoli di tutto il mondo con i loro usi, costumi, tradizioni.

Le tele rispecchiano quel bisogno di Susanna Viale di raccontare gli episodi e le condizioni sociali delle persone incontrate nei suoi numerosissimi viaggi. Il suo modo di guardare è sempre ravvicinato. Le espressioni degli occhi sono colte da vicino quasi come per indagare il più possibile la personalità degli individui.

Le sue non sono mai denuncie fatte a voce grossa, mai forzature espressive, piuttosto descrizioni, a volte più gioiose, a volte più sofferte. Ama mostrare il lato sociale delle culture e questo le riesce più facile attraverso il tema del lavoro e della famiglia. Coglie aspetti e diversità delle realtà in cui le persone vivono, indaga gli usi e gli ambienti con i quali negli anni è venuta in contatto. Una “Festa a Trinidad”, dei “Beduini”, una famiglia guatemalteca, dei “Monaci tibetani”, un “Mercato arabo”, uno dei suoi quadri più belli, una “Danza sugli atolli”.

Ma anche di fronte a tante diversità culturali conservo ancora quell’impressione di trovarmi davanti ad una mappa. E allora raccolgo con attenzione gli spunti che la Susanna-Pollicino ha lasciato in ogni tela e alla fine riesco a fare chiarezza.

I gesti di una madre verso un figlio sono gli stessi sia a Burkina Faso che in Tibet, così il bacio di due amanti, la fatica del lavoro, la gioia del far festa. Al di là delle diversità di pelle e di usanze rimane soltanto il grande episodio dei sentimenti umani.