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PAOLO RIZZI

Entrare dentro culture diverse dalla nostra; scrutare i comportamenti di genti lontane; studiare e capire modi di vivere che potremmo giudicare primitivi. È questo l’assunto che guida Susanna Viale, pittrice torinese dai vasti interessi. Si badi: non si tratta di curiosità orientaliste o africaniste, come succedeva per gli artisti del passato, pronti a cogliere il folclore più esotico. Si tratta di qualcosa d’altro: un desiderio profondo di conoscere.

Non è da oggi, nell’arte europea, che si manifesta questa tendenza. Gli Espressionisti tedeschi, come Kirchner e Otto Môller, hanno dipinto situazioni “selvagge” dai risvolti antropologici fascinosi. Non a caso da essi discendono quei “Neue Wilden” tedeschi che sono considerati uno dei movimenti di neo-avanguardia più interessanti degli ultimi decenni; ma vicini sono anche alcuni dei nostri “transavanguardisti”, come Cucchi e Paladino. Naturalmente non occorre esibire linguaggi avanzati e provocatori: importante è entrare dentro lo spirito di una “verginità primitiva”. Guardare, ad esempio, le maschere dell’Africa nera non con l’edonismo rapace di noi occidentali, ma in una autentica simbiosi culturale.

Susanna Viale rifiuta “e questo è evidente” esibizioni o forzature stilistiche. Ella vuole “vedere” le diversità africane o orientali anzitutto nello spettro etnologico più corretto, poi secondo i valori in sé della pittura-pittura. Ecco, così, le danze rituali della Polinesia o dei Carabi viste e interpretate come esplosioni di una vitalità sorgiva, lontana dai modelli di consumo e di comportamento del nostro mondo tecnologico. I colori non a caso sono intensi, persino violenti, stesi attraverso una partecipazione sentimentale ed una gestualità irruente.

Le stesse deformazioni fisiognomiche sono dettate da esigenze espressive, non da curiosità di folclore. Quando poi l’artista arriva a definire più da vicino le personalità degli individui scatta un empito di immedesimazione emozionale che colpisce. Vediamo il ragazzino nero in “Burkina Faso” intento ad imparare a leggere; o la madre che culla dolcemente il suo bambino. L’ambiente è africano; i sentimenti sono universali.

Del pari interessante, proprio sul piano di una spiritualità trascendente, è la raffigurazione di monaci tibetani. Ecco il “Lama tibetano”, vestito di rosso, entrare nell’atmosfera tutta blu che, simbolicamente, allude alla ricerca del mistero cosmico. In un altro dipinto gli occhi del monaco ci guardano fissi, come ad imprimere in noi uno sforzo di sublimazione del pensiero.

Quel che distingue Susanna Viale è proprio la ricerca di astrarre dal particolare l’universale. Per questo le servono le persone e gli ambienti esotici: essi escono dai luoghi comuni e dalle convenzioni materialistiche della nostra società. L’espressività si depura, e la pittura acquista un nerbo, una forza, diremmo una “verità biologica” che finisce per coinvolgerci. È importante tutto questo, anche e soprattutto in una artista che in precedenza ha avuto esperienze artistiche diverse. Il nucleo più autentico dell’anima viene a galla con una tensione che affascina.