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Breve storia dei tarocchi

Il termine tarocco, oggi richiama immediatamente il concetto di falso, artefatto, fraudolento. Una moto è “taroccata” quando viene modificato il suo assetto originario, per esempio. Quindi si pensa alla lettura delle carte a scopo di lucro per soddisfare le richieste di persone ingenue o annoiate o affamate di risposte veloci a problemi concreti. Questo è il segno dei tempi, infatti. A una domanda deve esserci una risposta immediata, non importa se plastificata e innaturale.

Nelle 78 carte o lame dei tarocchi noi distinguiamo facilmente due gruppi distinti. I 22 Arcani maggiori o Trionfi o Atutti (Atouts) perché più forti delle carte numerali, prendendole tutte, con figure fortemente simboliche e un gruppo di 56 arcani minori, carte numerali che anticamente erano dette naibi. Sembrerebbe che gli arcani minori siano stati i primi a comparire in Europa e gli arcani maggiori siano stati aggiunti solo in seguito. [su_expand]

Carte dotate di numeri probabilmente esistevano in Cina già dal decimo secolo e sono citate come d’uso comune in diversi testi del tredicesimo secolo.

Nell’enciclopedia cinese Ching tze tung composta fra il 1403 e il 1425 si legge che nel 1120 un funzionario presentò all’imperatore Kao-Tsong una memoria con la descrizione di un gioco di 32 tavolette d’avorio figurate e simboliche e le relative regole, denominato  “Mille volte diecimila” delineanti un parallelismo fra macrocosmo e microcosmo assimilabile alla filosofia degli “I Ching”.

Alcune di queste carte riguardavano il cielo (fra cui i 4 punti cardinali), altre la terra, altre le virtù dell’ uomo (benevolenza, giustizia, ordine, saggezza ecc.), ma le più numerose indicavano questioni astratte come il fato o i doveri civili. Comprese fra queste carte ci sono tre trionfi: il fiore bianco, il fiore rosso e la carta “mille volte diecimila”.

È probabile che le carte cinesi derivino dal domino che a sua volta deriva dal gioco dei dadi che esisteva da età immemorabili. Altri pensano, invece, che l’origine dei tarocchi sia nelle carte indiane. Però i cinesi giocavano alle carte più volentieri degli indiani e il gioco delle carte era più diffuso in Cina. In Cina avevano 4 semi, in Corea 8 e in India 8 o 10.

Esistono poi anche ipotesi di tipo divinatorio.
Uno dei metodi più primitivi per interrogare il futuro consisteva nel tracciare una circonferenza per terra e gettarvi dentro delle punte di freccia che, a seconda della disposizione, che assumevano, avrebbero chiarito gli interrogativi dei questuanti. Le carte coreane del gioco detto Htou-Tjyen portano ancor oggi sul dorso una freccia e fasci di frecce compaiono pure nella parte frontale.

Gli indù usavano 96 o 120 carte rotonde, laccate o dipinte a mano, suddivise in 8 o 10 semi ognuno con 12 valori (le prime dieci cifre più due figure). I 4 semi richiamano un gioco indiano ( e la sua cultura delle caste) di 144 carte divise in serie di 12 gruppi ognuno dei quali aveva 12 carte descritte nel XVI secolo da un persiano: Abu Fazl Allaui. Il gioco indiano chiamato “Davasatara” è interessante perché è collegato alla complessa mitologia cosmica indù e i valori delle carte cambiano con il tragitto del sole.

Per esempio di giorno la carta più forte è quella che indica l’incarnazione di Visnu o di Rama mentre dopo il tramonto sarà l’incarnazione di Krsna ad avere maggior potere. I semi erano pesci, tartarughe, conchiglie, dischi (cioè denari), ninfee (fiori del loto), brocche (o coppe),asce, archi, bastoni e scabole (spade). In alcune versioni troviamo anche elefanti, leoni, scimmie, vacche, cavalli, donne. Nell’India islamica il gioco più antica comprendeva 96 carte divise in 8 semi di 12 carte ciascuno (i primi dieci numeri più il Ministro e il Re). I semi erano: corone, lune, spade, schiavi, arpe, soli, diplomi e cuscini. Oppure, se carte tonde, pagode, spade, denari, campanelli, scudi, arpe, palle e diplomi.

In Persia, invece, si giocava al As Nas, con 25 carte divise in 5 semi (re, donne, danzatrici, leoni, soldati) ognuna di 5 carte con colori diversi. È quindi impossibile, mancando prove di carte asiatiche anteriori al sedicesimo secolo, capire quali siano stati i reali antesignani del gioco dei tarocchi. Sicuramente il gioco dei tarocchi veniva dall’oriente ma per ragioni ideologiche (la lotta in corso fra cristianesimo e islam) questo particolare andava sottaciuto o filtrato come per la provenienza dall’oriente di altro know how: come la bussola, lo zucchero, la carta, la stampa, i caratteri mobili.

Queste tecniche raggiungono quindi la Spagna islamica nel 1154 e l’Italia vede la fondazione della prima cartiera di Fabriano con maestranze islamiche nel 1276. Ma solo verso la fine del 1300 le immagini stampate iniziarono a moltiplicarsi perché le forti congregazioni degli amanuensi proibivano agli ambienti laici la metodica della stampa su carta. Infatti tali stampe si praticavano giusto nei conventi e nei luoghi di pellegrinaggio.

E solo fra la fine del 1300 e quella del 1400 si sviluppò l’arte tipografica a caratteri mobili e questo favorì infine la diffusione delle carte da gioco. Del tutto fantasiosa è l’ipotesi che le carte dei tarocchi siano arrivati in Europa con gli Zingari. Infatti queste tribù si insediarono nell’impero bizantino e nei Balcani verso il decimo secolo ma raggiunsero l’Europa occidentale molto più tardi: nel 1398 in Boemia, nel 1414 a Basilea, nel 1422. A Roma e nel 1427 a Parigi e a Barcellona. Ma le carte erano già ampiamente diffuse in queste città ben prima dell’arrivo degli Zingari.

Appartiene al 1376 un documento “Libro di Provvigione Fiorentina” in cui viene dichiarata applicabile al nuovo gioco dei naibi la legge della zecca. Del 1480 è una Cronaca di Juzzo de Covelluzzo che cita il proprio nonno, Nicola, come testimone che a Viterbo fu introdotto nel 1379 un gioco di carte che proveniva dai Saraceni che si chiamava naib. Ancor oggi in Spagna le carte si chiamano naipes. Peraltro non sussistono notizie di questo gioco fra gli arabi e nelle zone islamizzate. Infatti espressamente il Corano proibisce i giochi di azzardo. In piccardo “buono a nulla “ si dice naipai  e in fiammingo carta si dice knaep. E forse il termine naib deriva proprio da queste voci. Dapprima comparvero i naibi, più popolari, e solo in seguito si affiancarono i giochi con i Trionfi.

Anche il termine tarocco è incerto nella sua origine. Tarocco è il nome di un’arancia siciliana di importazione araba e taroccare significa brontolare. Per taroccato si intendeva una superficie dorata a foglia quando veniva picchiettata o solcata da uno stilo o un punzone per imprimere un disegno nell’oro. I fondi dei primi tarocchi miniati sono ottenuti in questo modo. Il termine “I trionfi “ lo troviamo come titolo del libro di Petrarca in cui vengono trattati una serie di carri allegorici nell’ambito di una processione. Il termine tarocco è dubbio.

Compare improvvisamente nel 1550 quando il poeta ferrarese Alberto Lollio lo definiva senza etimologia, mentre precedentemente gli arcani maggiori erano chiamati Trionfi. Sperone Speroni, poco dopo la metà del 500, scrive nel suo “Trattatello de gioco”: “queste carte si dividono in 4 schiere (spade, bastoni, coppe e dinari. A queste, alcune volte, si aggiungono alcune altre chiamate tarocchi: onde la prima definizione delle carte sia o con tarocchi o senza tarocchi.” Quindi i tarocchi propriamente detti, in Italia, sono solo i Trionfi fin dalle origini costituendo una variazione del gioco originario. Eppure la confraternita dei sufi islamici si chiama in arabo tariqa (anche via) e il suo plurale è turuk. Torok in ungherese vuol dire via.

Le Khanaqah dei sufi sono luoghi di incontro, spesso una casa comune, in cui c’è uno sceicco a capo e come suoi vicari ci sono i khalifa, gli amministratori (Wakil) un deputato (il naib) ecc. Dal termine naib  derivò il termine naibi con il quale venivano designate le carte da gioco in Italia e in Spagna quando queste furono importate dai paesi arabi nel Duecento. Peraltro in sanscrito nahbi è il mozzo della ruota, centro immobile di tutto ciò che muove, come un centro, un ombelico del mondo e così mozzo e centro indicano la parola celtica nab e quella germanica nav che ne sono derivate. In gallese il termine nav o naf significa anche capo o anche Dio.

Del 1393 è lo scritto di un italiano, certo Morelli, che, pur sconsigliando l’uso dei dadi ai ragazzi, consigliava loro, invece, il gioco delle carte del naibi per potersi edificare. A questo punto possiamo intuire che il Morelli non parla tanto degli Arcani minori ma dei Trionfi forse simili a quelli che ci sono pervenuti e che sono conosciuti come il “Mazzo di Mantegna”. Peraltro nel 1423 S. Bernardino da Siena condanna in un sermone tenuto a Bologna il gioco dei dadi e quello delle carte in cui nomina figure e semi e citando quindi, sembrerebbe, solo gli Arcani minori.

Nel 1460 Matteo Maria Boiardo pubblica il “Capitolo del gioco dei Tarocchi” e da allora si diffusero sempre più i giochi dei Tarocchi a 78 carte. I più famosi furono quello di Venezia, il tarocchino di Bologna (a solo 62 carte perché privi dei 2, dei 3, dei 4 e dei 5), le Minchiate di Firenze (che oltre le 78 lame del gioco di Venezia ebbero un cardinale, le tre virtù teologali, i quattro elementi (aria, acqua, fuoco e terra) e i 12 segni dello zodiaco, per un totale di 98 carte). Il mazzo Visconti-Sforza è forse stato eseguito dal Bembo in occasione del matrimonio di Francesco Sforza e di Bianca Maria Visconti nel 1432. Il tarocchino di Bologna inventato da Francesco Fibbia, di sole 62 carte e’ degli inizi del 1400, e della metà del 1400 sono anche, forse, le Minchiate fiorentine di 95 o 97 carte di cui 40 sono Arcani maggiori. Ma da allora le carte divenne via via più semplici fino  a conservare solo mazzi moderni a 52 o addirittura 40 carte oltre i Jolly (unico residuo dei trionfi).

Se quindi gli Arcani minori a 4 semi possono derivare dai giochi orientali indo-cinesi o dalle variazioni dal gioco dei dadi egizio-mesopotamico, forse addirittura mediato dai mori, non sembra invece accettabile l’ipotesi che tale sia stata anche l’origine dei Trionfi. Lo stesso termine “trionfo” lo lega all’Italia, al XIV secolo (vedi anche l’opera poetica “I Trionfi” del Petrarca con una serie di carri allegorici con fitti ricami simbologici) e all’ambiente di Corte Aristocratico. Nel testo petrarchesco si susseguono i Trionfi dell’Amore (nei tarocchi gli Innamorati), quello della Castità (la Temperanza), quello dalla Morte (lama XIII dei tarocchi), quello della Fama (lama XXI), quello del Tempo (lama XI), e dell’Eternità (lama XIX). Lo stesso carro appare nella lama VIII. Il Trionfo, all’epoca, era uno spettacolo molto diffuso e costoso che nacque probabilmente dalla processione religiosa medioevale, dal corteo dei cavalieri antecedente la giostra  e il torneo vero e proprio e dalle rimembranze dell’interesse per il mondo classico greco-romano. Tutti i nomi, i costumi, le figure e le allegorie riportano all’ambiente nobile che scoprì con l’umanesimo da una parte il mondo antico e dall’altra la centralità della figura umana.

A Firenze il Trionfo fu soprattutto un fenomeno di spettacolo musicale con canti e danze. Mentre nella Milano ducale fu soprattutto un corteo con paggi e dame con relativi carri trionfali, Ancora oggi le giostre dei bambini che si vedono nelle fiere con i cavalli rotanti ricordano le lame dei tarocchi. E ancor oggi, come allora, nel periodo carnevalizio esistono sfilate di carri allegorici (Viareggio, S. Paolo del Brasile ecc). Alcune lame (la Papessa per esempio), poi, richiamano eventi tardomedioevali. Le lame vengono messe una accanto all’altra a creare una vera processione, un Trionfo, e raccontano le vicissitudini umane dell’Italia del 1400 e non solo. Così ci parla anche un libro divinatorio edito nel 1526 a Venezia da Jacomo Giunta. Si tratta del “Trionfo di Fortuna” del ferrarese Sigismondo Fanti. Questo trattato ricco di figure, ricorda la metodica oracolare degli I Ching e rammenta nettamente le 50 lame del “Mazzo o Tarocchi del Mantegna”. Il mazzo del Mantegna è costituito da 50 lame figurate, non da gioco, divise in 10 carte di 5 semi: le condizioni dell’uomo (contraddistinte dalla lettera E), Apollo e le Muse (lettera D), Arti e Scienze (lettera C), Spiriti e Virtù (lettera B), Pianeti e Sfere (lettera A).L’autore di questa opera fu un anonimo maestro ferrarese (detto appunto “dei tarocchi”), nel 1465. Del resto l’istruzione in un ambiente fortemente illetterato era spesso determinato da immagini. La stessa Chiesa usava le immagini come strumento di insegnamento non solo nelle chiese. In pratica i Trionfi appaiono già alla fine del 500  in due forme: quella più nobile che appare in ambiente colto e isolato dagli arcani minori e quello più popolare del tipo “mazzo di Marsiglia” usato come gioco insieme ai naipes. I Trionfi paiono proprio il frutto di quell’ambiente cristiano neoplatonico, alchemico e pitagorico liberale che era molto di moda (Pico della Mirandola, Marsilio Ficino e il cardinale Nicolò Cusano) nelle corti locali italiane e che costituì l’ossatura dell’Umanesimo e che fu sconfitto dalla reazione cattolica più retriva.

I misteri della Fede Cristiana erano divulgati in un ambiente fortemente illetterato da immagini in tutta la tradizione medioevale europea. Da questa esigenza nasce la scultura delle cattedrali e la pittura antica religiosa. L’Umanesimo scopre l’antica lingua greca e inizia a tradurre dall’arabo le conoscenze dell’antica cultura greco-romana che era stata seppellita dalle invasioni barbariche e in parte occultata dalla miopia medioevale. Il Ficino traduce fra il 1460 e il 1463 il “Corpus Hermeticum”, fra cui la famosa Tavola di Smeraldo, che sono una raccolta di testi iniziatici del I e II secolo D.C. attribuito a Hermes Trismegisto e gli “Inni Orfici”. Pico della Mirandola fu un grande conoscitore della Cabbala Ebraica legata profondamente al sufismo e la Spagna islamica e liberale fu un oggetto di grande attenzione per quei colti. Il filosofo neoplatonico Niccolò Cusano fu cardinale e legato pontificio ed ebbe grande influenza in un piccolo spazio temporale nella Chiesa Cattolica prima di essere presumibilmente avvelenato.

Il mazzo di Mantegna forse fu inventato o presentato proprio nella stretta cerchia di Papa Pio II Piccolomini durante il concilio di Mantova fra il 1459 e il 1460 di cui facevano parte il cardinale Bessarione e il cardinale Nicolò Cusano. Queste carte sono formate da 5 serie di 10 carte: i numeri da 1 a 10 rappresentano gli ordini della società, dall’accattone al papa, i numeri dall’11 al 20 rappresentano le 9 muse ed Apollo, i numeri da 21 a 30 sono le parti principali della conoscenza e i numeri dal 31 al 40 descrivono le 3 scienze (astronomia, cronologia e cosmologia), le 4 virtù cardinali (temperanza, prudenza, fortezza e giustizia) e le tre virtù teologali (fede, speranza, carità), mentre i numeri dal 41 al 50 rappresentano i 7 pianeti, la sfera delle stelle fisse, il primo motore e la prima causa. Ogni gruppo segue un criterio numerico progressivo secondo l’importanza gerarchica e un ordine alfabetico inverso in modo che Dio (il primo motore) è caratterizzato dalla lettera A.

I tarocchi, quindi,  hanno origine nei modelli più profondi dell’inconscio collettivo. I tarocchi sono una strada per la conoscenza di noi stessi, un viaggio nella profondità dell’essere umano. Gli Arcani maggiori o Trionfi o Atouts, sono le esperienze silenziose che incontriamo nella nostra vita fino alla realizzazione completa del perfetto uomo alchemico. E l’alchimia è predominante anche se sottaciuta o nascosta in questa fase storica prerinascimentale. Ma i tarocchi, con gli atouts, potrebbero essere anche l’esposizione simbolica di una setta eretica quali il gruppo degli albigesi-catari-bogomili, o altre sette dualistiche che influenzarono fortemente gli ambienti aristocratici del Tre-Quattrocento Italiano. Ma l’inquisizione fece tabula rasa di queste correnti e non è praticamente sopravvissuto nulla di quelle teorie tranne la forte connotazione della reincarnazione che traspare dalla processione delle lame. Infatti in Spagna appaiono gli arcani minori ma mai i Trionfi.E poi altri 6 privi di numerazione: La stella, il sole, la luna, la fama, il mondo e il matto.

La simbologia degli arcani minori è semplice: nelle spade c’è la nobiltà, nelle coppe il clero, nei denari ci sono i mercanti e la borghesia nascente e nei bastoni i contadini. Nell’insieme i Trionfi ricordano un assemblaggio delle conoscenze rinascimentali e della riscoperta del platonismo e di Plotino con qualche addentellato della pittura medioevale  fiamminga (il Bosch con il bagatto e il matto). Comunque sia la meditazione sulle lame attiva l’intuito umano e per questa ragione costituiscono un esercizio insostituibile non solo per chi si occupa di psiche umana ma per tutti noi. In particolare le lame degli Arcani maggiori del mazzo detto “marsigliese” è particolarmente adatto alla meditazione perché ci offre una storia figurata apparentemente semplice che tuttavia imprime forti connotazioni emozionali e differenti messaggi subliminali.

I tarocchi ci insegnano a immaginare e intuire nel modo giusto entrando in sincronia con ciò che è reale. Il linguaggio dei tarocchi è quello del sogno e della malattia psicosomatica cioè il linguaggio in parte perduto e celato dei simboli. La lettura dei tarocchi è solo un esercizio. Ma quale esercizio!

MAURIZIO CARLO CUSANI

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Le carte prodotte a Firenze, dette Minchiate, invece, comprendevano 41 trionfi:

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