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Dicono di Susanna Viale

Se la parola fosse il sogno? - Romano Ravasio

Dalle pitture rupestri, di Lascaux o di Altamira. Da qui potremmo cominciare. A cercare un legame con quell’alfabeto di codici semantici che come luce ci guidano nell’interpretazione di un’immagine. Chiave a sua volta di un mondo – di segni/sogni? – che se non avesse parole a spiegarli non potrebbero essere comunicati. La spirale si avviluppa. Mi rendo conto che l’immagine necessita di parola per essere trasmessa e che il suono che la definisce proietta a sua volta immagini. Ma da qualche parte deve essere l’origine. Qualche parallelo solamente. O meridiano. Spostiamoci di un poco e avremo bisogno di parole diverse, di altre immagini. E qualcuno-qualcosa che le metta in relazione, perché noi si possa comprendere. Che cosa ci fa quell’asino – ma c’è anche un bue! – alle spalle della culla? Le ruote dentate, il cane con il pane in bocca, le frecce nelle gambe, dei bulbi oculari posati lì, su un piatto. E poi un dito in una piaga? E dei pesci e un leone e un capricorno – ma che cos’è un capricorno! – e due gemelli. E poi dei piedi alati, un triangolo con all’interno un occhio. Una conchiglia con una donna dentro. Un fulmine nelle mani di un uomo! Ocra, rosso. E blu e giallo. Oh no, ricominciamo! Altri simboli. E perché sento freddo o caldo quando li guardo? Quel campo, diviso in due, con il sole di qua e la luna dall’altra parte, perché mi trasmette un’ansia sottile? Il cane, altri strani animali e gli uccelli. Cosa stanno facendo? Il cane mangia i vestiti dell’uomo. Un lampo spezza una torre. Comincio a capire. Ma ancora non so. Però sento che il legame tra colori – forme – gesti inizia ad avere un senso. Non cerco parole dentro di me. La storia inizia a raccontarsi da sola, come in un sogno. E ciò che prima era assurdo ora mi sembra chiaro. Ho paura di svegliarmi. In un attimo tutto tornerebbe incomprensibile. Susanna Viale è la regista di questa storia per immagini dedicata ai Tarocchi, al flusso di sentimenti che genera e ci trasporta. I simboli che utilizza sono a lei chiari, il loro significato evidente. Ma non dobbiamo necessariamente conoscerli per apprezzare il suo lavoro. La storia dell’arte fa da sempre riferimento a un eterno gioco di rimandi e conoscenze, esperienze date e codici acquisiti, senza i quali il comune sapere non avrebbe lingua comune. E se si cercasse il punto sulla linea dove la parola ha dato senso all’immagine o quando la proiezione di un’idea è diventata un suono da comunicare, non lo si troverebbe. E quindi possiamo lasciarci calare nel mondo delle sue fantasie pittoriche senza dover dare un nome alle cose. E questo non pregiudicherà il godimento del suo lavoro artistico. Chi volesse potrà invece dare nomi al mondo dei suoi personaggi leggendo il bellissimo libro a cura di Maurizio Cusani che accompagna la serie dei Tarocchi. O, per restare in tema, è il contrario? Come i dipinti di Hieronymus Bosch possono essere spiegati, raccontati, così possiamo anche semplicemente lasciarci precipitare nel gorgo, abitato da esseri a noi ignoti. E comunque sentire. Allo stesso modo Susanna Viale fa rivivere le consuete parabole morali dell’arte, che sono anche quelle di Bosch, rielaborando tutto in un idiosincratico sistema di simboli e rimandi che Cusani, nel libro, decifra nella loro complessità. Ma che noi possiamo anche solo apprezzare, come si fa con un’opera d’arte. Perché questo è ciò che sono i suoi rettangoli miniati. Opere d’arte in cui un sapere secolare trova riscontri e si fa strumento di una pratica antica. La Sibilla Cumana di Michelangelo appartiene a quel popolo di veggenti e sacerdotesse di cui l’uomo ha da sempre avuto bisogno. Interpretare il passato è la via per comprendere il futuro. I Tarocchi illustrati di Susanna Viale sono l’equivalente del libro delle profezie, che la Sibilla vuole interpretare. E le sue carte sono appunto dei libri, che ci raccontano di legami ineludibili che permettono di cortocircuitare il tempo, rendendo l’avvenire un presente che non dobbiamo più interpretare, perché si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Mentre mescoliamo i Tarocchi. Susanna Viale è un’artista poliedrica, che ritrova i suoi interessi in svariati campi, che non sono solo quelli dei territori classici dell’arte, la pittura, la scultura, la fotografia, ma che si estendono a diverse discipline, dalla mitologia all’esoterismo e all’alchimia. In questo senso il suo lavoro interpretativo sui Tarocchi rappresenta un momento fondamentale della sua ricerca, in quanto racchiude nel lavoro artistico anche la sua passione per l’antropologica culturale, sociale e spirituale. I greci dicevano che la meraviglia è l’inizio della conoscenza e quando smettiamo di meravigliarci inizia il pericolo di smettere di comprendere. Susanna Viale ci rivela, attraverso questo suo lavoro, un inesausto desiderio di conoscenza, una capacità infinita di ricomporre i moduli di un sapere antico secondo criteri compositivi personali che, senza tradire il significato originale del simbolo che devono illustrare, lo reinventano, con la fantasia propria dell’artista. Sa farsi amanuense, ma solo fino al punto in cui la necessaria coerenza con il racconto non le impedisce di esprimere la propria personale interpretazione. Sa essere strumento e canto. Corda di violino e musica al tempo stesso. Un intero universo di riferimenti alla storia dell’arte fa scena di sé nei suoi racconti. La classica ieraticità dei fondi oro convive con l’ansia dell’incubo, raccontato da figure e mostri medioevali, che sembrano usciti da quel sonno della ragione che pareva aver perso il contatto con una storia già scritta. La luce spirituale dell’oro dei Bizantini trova nei frequenti fondi ocra un corrispettivo preciso, in una simbologia che vuole che, se usato come fondo di un dipinto, l’oro non identifichi una realtà, ma intenda alludere a qualcosa di altro, distante, irraggiungibile. La Metafisica novecentesca fa da sfondo al racconto popolare, in un’alternanza di espressioni ora colte ora dialettali. Un bestiario mitologico si fa attore di storie che paiono uscite da sfondi della pittura fiamminga e tardogotica. La stessa costruzione dell’immagine richiama quell’ambito: lo spazio che contiene i personaggi è rappresentato dall’alto, mentre i personaggi, inseriti in quello spazio, sono rappresentati da un punto di vista più basso. E questo genera una duplicità di punti di vista inconfondibile, tipica della pittura di area nordica. Susanna Viale da vera pittrice ha incrociato tutti questi elementi di una conoscenza antica e a lei familiare in una storia complessa, fatta di infiniti rimandi culturali, ai quali non si è sottratta, anzi. Con studio attento ne ha rivisitato i luoghi, i significati, i simboli. Raccontando una storia che è la storia dell’uomo. Romano Ravasio

L'arte di Susanna Viale - Maurizio Cusani

L’arte di Susanna Viale è un alto stilema figurativo in cui il colore irrompe nella scena. I lividi corpi viola a spatola di Susanna Viale fluttuano nell’aria nella danza della vita. Le masse muscolari sono accarezzate dal vento, dalla polvere, dalla sapida presenza della luce. I volti degli individui catturati, soprattutto le donne e i vecchi, parlano del gusto e del dolore, della rassegnazione di un tempo immanente, perenne, sospeso nell’eternità. Così anche nelle immagini nude dei corpi avvinghiati c’è sempre il senso concreto e spesso della vita carnale, dello spessore sia dei godimenti sia della sofferenza, senza compromessi, senza mediazione, colti come puri, immersi nella verità piena. Il tema principale della sua arte è il viaggio come fonte di emozioni e di conoscenza. Così ecco dipinti gli istinti derivativi dell’Africa, le alee sacrali asiatiche, i pinnacoli misteriosi delle popolazioni andine. Ma esiste anche un viaggio interiore che Susanna indaga con profondità empatica. Un viaggio in se stessa senza compromessi. Un viaggio che coglie gli archetipi, i sogni giganti di ogni uomo di ogni epoca, di ogni sesso e di ogni tradizione. E nella serialità delle lame dei tarocchi, archetipi di due metri lucenti e secchi, ecco la pittrice che affronta l’inconscio del collettivo, il cammino sapiente di ognuno di noi riflesso negli occhi di ogni essere umano. Gli occhi! Ecco, guardate gli occhi delle figure dipinte da Susanna Viale, e non vedrete solo la raffinata tecnica ma voi stessi immemori, arcani e spogliati dal vostro stesso destino.

Emozioni retiniche - Dott. Ugo Perugini

L’incontro con Susanna e l’amicizia che ne è nata ha dell’insolito. Prima di conoscere Susanna come persona, ho apprezzato le sue opere. Diversi anni fa, stavo lavorando a un catalogo della Giorgio Mondadori. Ho visto le riproduzioni dei suoi quadri e mi sono incuriosito. Ho fatto una ricerca, ho scoperto il suo sito e sono state proprio le sue opere a far nascere in me il desiderio di approfondire questa conoscenza. E il viaggio che ho intrapreso attraverso la sua espressività artistica, alla fine è stato anche un viaggio attraverso me stesso, una ricerca interiore che mi ha permesso di scoprire cose che non conoscevo. Non sto dicendo niente di nuovo, in realtà. La funzione dell’arte alla fine è questa. Jean Guitton, il filosofo che in età avanzata si era scoperto pittore, disse una volta una cosa molto bella: “La pittura è per me una psicoanalisi del mio profondo che fa sorgere i miei fantasmi ignorati, i miei angeli ignoti”. E tutti abbiamo fantasmi e angeli dentro di noi che non conosciamo. Susanna Viale ha intrapreso il suo percorso per scoprire e farci scoprire angeli e fantasmi. Una scoperta che si sta facendo via via più emozionante, anche perché ci conduce verso i territori inesplorati della spiritualità. Ma andiamo con ordine. Cosa dire della sua progressiva evoluzione pittorica? Della sua accresciuta ma non certo inattesa sensibilità ai temi del sociale? Dell’attenzione all’altro? Susanna viaggia molto per il mondo. Vive tra la gente. Ne assorbe i sentimenti, mentre ne esplora gli sguardi, ne scandaglia i gesti con umile e devota attenzione. Non è un’operazione documentaristica la sua, ma il bisogno di capire, di penetrare la realtà. E la sua operazione ha qualcosa di mistico. Spiego meglio questo aggettivo che può sembrare paradossale. Per alcuni la mistica è una specie di volo d’uccelli, una danza aerea, un decollo dalla carne e dalla terra verso i cieli, ma invece io la intendo come la intendeva Giovanni della Croce, quando diceva che “il mistico lavora la terra, ama plasmare il fango delle zolle rendendolo vivo, trasformandolo in creatura e parola”. E questa definizione mi pare si adatti perfettamente al lavoro della Viale. Aveva ragione il poeta Charles Peguy quando diceva: “Un mondo senza mistica diventa un mondo disincarnato!”. Viale trasfigura i personaggi e la realtà che vede. E, così facendo, compie anche un’operazione etica. La relazione etica è, per sua natura, asimmetrica. Ci viene in aiuto il filosofo Levinàs, che dice: “Il mio io si lascia interpellare dal volto dell’altro, del povero del debole, del bisognoso, e si lascia liberamente provocare all’azione senza aspettarsi niente in cambio”. Il primato dell’altro e la relazione asimmetrica portano a un senso diverso del concetto di uguaglianza tra individui. Per Levinàs, come per Viale, conta più la fraternità che l’uguaglianza. “Il fatto originario della fraternità è costituito dalla mia responsabilità di fronte a un volto che mi guarda come assolutamente estraneo” continua il filosofo… Viale, in altri termini, ci fa conoscere coloro che sono meno fortunati di noi, che sono esclusi dal circuito del benessere, che lottano quotidianamente per sopravvivere, che rappresentano, per certi aspetti, la nostra coscienza “malata”, ma che nelle sue opere non perdono mai la loro dignità, il loro orgoglio, la loro profonda, calda umanità. In un’epoca nella quale sempre di più ci chiudiamo nel nostro egoismo, nelle nostre case, innalziamo steccati, abbiamo paura degli altri, visti sempre come diversi da noi, alla fine perderemo il valore della realtà, per vivere la nostra vita non soltanto senza ideali, come già succede, purtroppo, ma anche senza senso. Ricordiamoci che il reale è essenzialmente alterità: senza alterità non c’è realtà. Gli altri sono il solo tramite che ci consente di conoscerci nelle nostre possibilità di esistere. Viale, in altri termini, con le sue opere cerca di ridare la parola a coloro ai quali era stata negata… Osservando uno dei suoi lavori più significativi, il “mercato dello Yemen”, ci si sente coinvolti in pieno: si viene colti da una suggestione di movimento, rumore, odori forti, come se il quadro fosse vivo, pulsasse di umanità con un effetto scenografico di notevole impatto che non lascia indifferenti. Di Viale mi piace la sua “forza” pittorica, la sua concretezza, la densità delle sue pennellate, la sua generosità. Una volta ho scritto che i suoi colori “gridano”. Ma è un grido di ribellione che ci sentiamo di condividere. E che ci fa bene. Vorrei a questo punto introdurre un’altra citazione che mi pare si adatti bene all’opera di Viale. Si tratta di una frase del pittore russo Vasilij Kandinskij che nella sua opera “Lo spirituale nell’ arte” scrisse: “Il colore è un mezzo per esercitare sull’anima un’influenza diretta. Il colore è il tasto, l’occhio è il martelletto che lo colpisce, l’anima lo strumento dalle mille corde”. Ecco, se la smettiamo di stare sulla difensiva, se abbassiamo la guardia per un attimo, se lasciamo che i colori delle opere di Viale, e quindi il messaggio che l’artista veicola, dalle retine arrivino liberamente al nostro cuore, possiamo dire di aver fatto un bel passo in avanti. Un passo verso la tolleranza, il rispetto e, infine, verso la libertà. Degli altri, ma anche, e soprattutto, nostra. E nel percorso verso la nostra libertà, Viale non si ferma. Desidera intraprendere la strada dello spirituale, affronta il mistero della vita attraverso strade che la conducono a un sincretismo che in certi casi può apparire azzardato ma è sempre intelligentemente provocatorio. Esaminando le due opere che fanno parte del soggetto “Degenerazioni” comprendiamo che si sta compiendo nell’artista una reazione etica di grande portata. La realtà diventa simbolo attraverso la sua ricerca pittorica. Simbolo forte, pesante come nella “sozza dea”, cioè la fama, mostro dai tanti occhi e dalle tante bocche, di fronte al quale molti si inginocchiano in adorazione e per descrivere il quale si recuperano in modo opportuno i possenti versi dell’Eneide: “…seminando non men che ‘l bene e’l vero, il male e il falso”. Come non accostare questa immagine con quelle, rese attualissime dai recenti scandali, del successo a ogni costo? Anche in “Guerre dimenticate” il discorso è intriso di messaggi simbolici, densi e dolorosi. E’ angosciante lo sguardo di chi emerge dal buio e con la mano artigliata in primo piano cerca di afferrare i teschi, quasi l’unica realtà possibile e drammaticamente concreta in un mondo che lascia poche speranze. Nelle opere che vanno sotto il titolo generale di “Evoluzione spirituale” il discorso richiede una attenzione maggiore. Ci sono lavori già maturi, vedasi “Verso la luce”, dove la scultorea nudità che rappresenta lo spirito si orienta verso il chiarore deciso della verità. E la “Spirale di Venere”, dove il trionfo dell’eterno femminino, nei corpi nudi variamente colti nei loro gesti e movimenti, raggiunge valori elevati di fascinosa provocazione. L’artista, però, è consapevole anche che sta affrontando un momento delicato della sua ricerca: deve riflettere ancora sulle scelte da compiere; scorgiamo qua e là delle incertezze, delle esitazioni, dei pudori che sono il segnale, peraltro positivo, della sua ansia di arrivare a padroneggiare ambiti spesso rarefatti e indefiniti che, se non controllati, possono rivelarsi fatue e pericolose illusorietà.

TORE - Arteonline

È un’arte “eclettica”, quella di Susanna Viale, laddove l’eclettismo assume il suo significato più genuino, cioè il sapersi appropriare dei mezzi espressivi e delle varie tematiche fornite dalla propria cultura per tessere un originale linguaggio con cui manifestare il personale mondo interiore. Artista colta, dunque, Susanna Viale inizia il proprio itinerario figurativo visualizzando concetti della sua interiorità attraverso i metodi geometristi, con una scomposizione dimensionale cubica, a volte con accostamenti alla realtà corporea umana che ne accrescono il senso simbolico. È proprio nella potente funzione simbolica che si evolve la tematica della sua opera dopo il ’94, periodo in cui il suo stile ha una svolta che si può definire espressionista, nel suo comporre la figura lasciando che i flutti del puro colore la modellino secondo i moti interiori che in essa si esprimono, ma qui abbiamo un palesare non solo l’emotività, ma una precisa percezione etica della realtà sociale che viene presentata attraverso spunti che sintetizzano in un ‘immagine una intera condizione umana (la possente istintualità dei Malesiani, la sofferenza della donne nei moti della Storia, gli odii politici degli uomini, l’abbandono dei profughi ) fino ad arrivare alla essenzializzazione di momenti fondamentali della vita come l’adolescenza (dipinta con stile divisionista,con uno squarcio nel corpo della protagonista, forse uno degli squarci inevitabili lasciati dalla crescita nel nostro animo), la femminilità e la coppia, vista in prospettiva metafisica, a volte con plesticismo surrealista. Fra il ’95 e il ’97 l’artista sceglie l’astrattismo e il collage per esprimere con forte chiarezza semantica la forazione del “contemporaneo” visto nei suoi elementi materiali e tecnologici più rappresentativi, per poi tornare alla raffigurazione “fauvista”delle culture e degli ambienti extraeuropei e al simbolismo quasi metafisico per visualizzare concetti morali. Un viaggio attraverso la ricchezza espressiva delle grandi tradizioni artistiche del nostro tempo, quello che ci propone Susanna Viale, dove ritroviamo, interiorizzante e interpretate, le visioni del mondo esterno comune a tutti, in un’ arte che è capace di focalizzarsi sugli elementi più caratteristici della nostra attualità, dalla disperazione concentrata nello sguardo smarrito di un bambino senza infanzia alla visione ingrandita di congegni telematici che stanno cambiando (in bene o in male?) il nostro modo di vivere, il tutto in una evoluzione continua di cui solo il futuro potrà mostrare le definitive potenzialità. Credo che queste poche righe deliniino molto bene il suo profilo a cui credo non si possa aggiungere niente di più se non quello di un invito ad andare a visitare il suo sito e ammirarne i lavori.

Pittrice espressionista figurativo-informale - Elisa Bergamino

La tematica delle opere di Susanna Viale si sviluppa attraverso processi consci ed inconsci, nei quali l’artista si identifica vivendo una realtà trasfigurata. Un’arte composta di un’argomentazione che non si esaurisce e che nasce da un’iniziale malinconia, da una vissuta e sofferta necessità di rinnovamento. Un idioma privo di ornamenti superflui, un’allegoria che racchiude un cromatismo in grado di rievocare sentimenti, sogni, situazioni vissute; lavori che esprimono emozioni di un animo teso ad indagare e a far convergere nella materia elaborata il mistero dell’animo umano. Abile nel proporre esposizioni che rispondono al bisogno di indagine psicologica, Susanna Viale, trasfonde in ogni rappresentazione pittorica un universo di immagini simboliche o realmente visibili, capaci di suscitare nel fruitore sentimenti altamente sublimi. Il viaggio da lei percorso è un lungo cammino interiore, attento alle vicende della cultura, recettivo agli stimoli che essa trasmette, ma accorto a filtrarne soltanto quella parte a lei consona.

Ileana Baldo

La pittura di Susanna Viale… eclettica pittrice torinese che dopo un avvio ispirato ad impostazioni geometrico-cubiste ha assecondato ed approfondito la propria vena espressionista-figurativa, avvalendosi sempre di materiali di varia natura e sperimentando molteplici mezzi espressivi, è chiaramente rivolta verso una continua ed entusiasta esplorazione di orizzonti ampi e lontani. Quella degli ultimi anni è una produzione artistica dalla forte connotazione umana e sociale: la curiosità verso culture sconosciute e terre lontane è al centro di una instancabile ricerca pittorica ed antropologica che ha portato Susanna Viale ad intraprendere lunghi viaggi verso mete in Africa, Centro America ed Oriente, spinta dall’urgenza di conoscere e raccontare, andando al di là delle semplici apparenze e dei cliché consolidati per scandagliare ed approfondire riti e costumi di mondi lontani. È stato così che, viaggio dopo viaggio, incontro dopo incontro, le sue opere hanno preso a descrivere scene di vita in villaggi africani, famiglie guatemalteche, monaci tibetani e donne nepalesi, mercati arabi e danze rituali celebrate in isole esotiche. Una pittura fortemente descrittiva, quella di Susanna Viale. Ma anche dolcemente poetica ed evocativa di scenari di grande energia e vitalità: figure e paesaggi, delineati con tratti decisi e marcati ed enfatizzati con pennellate libere e vigorose, colpiscono l’osservatore per l’intensità e la forza che riescono ad esprimere, tanto da rivelare l’intensa partecipazione, umana ed emotiva, dell’artista nell’atto di raffigurare, con profondo rispetto ed assoluta fedeltà, luoghi e civiltà fisicamente e culturalmente lontani dalla nostra. Il linguaggio pittorico di Susanna Viale, sostenuto da un acceso cromatismo “giocato sulla spiritualità del blu, la personalità del rosso e l’intensità del giallo” è decisamente coinvolgente e di forte impatto emotivo, capace di comunicare l’essenza spirituale di certe figure e certe scene. Attraverso una personale indagine su costumi, usanze ed espressioni, la pittrice si impegna a cogliere e fissare sulla tela la dimensione quotidiana e la vita reale di uomini e donne lontane: ne deriva un linguaggio pittorico basato su forti contrasti chiaroscurali tra zone di luce ed ombra, le stesse luci ed ombre che si ritrovano nella quotidianità di questi uomini e donne, scandita di danze e rituali di grande fascino, ma anche da continue fatiche per la sopravvivenza. Alla ricchezza espressiva di figure e scenari colti con spontaneità e lividezza ed all’impiego ricorrente di colori primari per descrivere emozioni primigenie, riti ancestrali e forze primitive, Susanna Viale affida la valenza simbolica dell’opera d’arte come veicolo per raggiungere mondi lontani, esplorare culture diverse, aprirsi ad un continuo confronto: per arrivare direttamente, con autenticità ed immediatezza, all’essenza dello spirito dei popoli.

Paolo Rizzi

Entrare dentro culture diverse dalla nostra; scrutare i comportamenti di genti lontane; studiare e capire modi di vivere che potremmo giudicare primitivi. È questo l’assunto che guida Susanna Viale, pittrice torinese dai vasti interessi. Si badi: non si tratta di curiosità orientaliste o africaniste, come succedeva per gli artisti del passato, pronti a cogliere il folclore più esotico. Si tratta di qualcosa d’altro: un desiderio profondo di conoscere. Non è da oggi, nell’arte europea, che si manifesta questa tendenza. Gli Espressionisti tedeschi, come Kirchner e Otto Môller, hanno dipinto situazioni “selvagge” dai risvolti antropologici fascinosi. Non a caso da essi discendono quei “Neue Wilden” tedeschi che sono considerati uno dei movimenti di neo-avanguardia più interessanti degli ultimi decenni; ma vicini sono anche alcuni dei nostri “transavanguardisti”, come Cucchi e Paladino. Naturalmente non occorre esibire linguaggi avanzati e provocatori: importante è entrare dentro lo spirito di una “verginità primitiva”. Guardare, ad esempio, le maschere dell’Africa nera non con l’edonismo rapace di noi occidentali, ma in una autentica simbiosi culturale. Susanna Viale rifiuta “e questo è evidente” esibizioni o forzature stilistiche. Ella vuole “vedere” le diversità africane o orientali anzitutto nello spettro etnologico più corretto, poi secondo i valori in sé della pittura-pittura. Ecco, così, le danze rituali della Polinesia o dei Carabi viste e interpretate come esplosioni di una vitalità sorgiva, lontana dai modelli di consumo e di comportamento del nostro mondo tecnologico. I colori non a caso sono intensi, persino violenti, stesi attraverso una partecipazione sentimentale ed una gestualità irruente. Le stesse deformazioni fisiognomiche sono dettate da esigenze espressive, non da curiosità di folclore. Quando poi l’artista arriva a definire più da vicino le personalità degli individui scatta un empito di immedesimazione emozionale che colpisce. Vediamo il ragazzino nero in “Burkina Faso” intento ad imparare a leggere; o la madre che culla dolcemente il suo bambino. L’ambiente è africano; i sentimenti sono universali. Del pari interessante, proprio sul piano di una spiritualità trascendente, è la raffigurazione di monaci tibetani. Ecco il “Lama tibetano”, vestito di rosso, entrare nell’atmosfera tutta blu che, simbolicamente, allude alla ricerca del mistero cosmico. In un altro dipinto gli occhi del monaco ci guardano fissi, come ad imprimere in noi uno sforzo di sublimazione del pensiero. Quel che distingue Susanna Viale è proprio la ricerca di astrarre dal particolare l’universale. Per questo le servono le persone e gli ambienti esotici: essi escono dai luoghi comuni e dalle convenzioni materialistiche della nostra società. L’espressività si depura, e la pittura acquista un nerbo, una forza, diremmo una “verità biologica” che finisce per coinvolgerci. È importante tutto questo, anche e soprattutto in una artista che in precedenza ha avuto esperienze artistiche diverse. Il nucleo più autentico dell’anima viene a galla con una tensione che affascina.

Sergio Albano

Scrivere di un pittore… non è sempre semplice, sopratutto quando questo è in continua trasformazione. Inquadrare le variazioni pittoriche e quindi la ricerca artistica di Susanna Viale è impossibile, poichè essa spazia con disinvoltura da un espressionismo barocco al geometrismo onirico, dal metafisico al surreale. Dipinge su tutto con la stessa gioia di fare colore e di trinciare segni barocchi con grande libertà e autenticità. Ogni tanto il desiderio di un ritorno al passato la porta ad esplorare tecniche antiche e misteriose, e per un pò di tempo si autodisciplina a questa ricerca, ma poi, il demone del colore se la riprende, e allora nascono tele piene di vita e di gioia, ma anche di tormento. Questa gioia di vivere ce la comunica anche la sua stessa persona, con il suo sorriso, la sua semplicità e schiettezza dei suoi modi. Suo identikit? “CARPE DIEM”

Patrizia Raineri

Ciò che mi colpì, quando per la prima volta mi trovai dinanzi ai quadri di Susanna Viale, fu l’impressione di sentirmi come in una sorta di mappa – forse geografica, ma più probabilmente psicologica e sociale -, che richiedeva di essere guardata in maniera complessiva per poter essere decifrata. Come se Susanna Viale, infaticabile e moderna Pollicino, avesse lasciato cadere su ogni tela una parola, apparentemente di senso finito, ma che sembrava però acquistare un significato vero e proprio soltanto in rapporto con tutte le altre. Uno, due, cinque, dieci, venti, trenta. I quadri esposti nelle mostre temporanee, quelli in collezioni private italiane e straniere, quelli che Susanna Viale conserva gelosamente nel suo studio sono tanti, indici di una produzione brillante e fervente. Il sorriso semplice e gentile della pittrice mi accompagna tra le tele, nell’esplorazione di un mondo che passo dopo passo diventa sempre più chiaro. Susanna Viale vive a Torino, una città molto attenta all’arte contemporanea e spesso anche fin troppo incoraggiante nelle sperimentazioni artistiche e nelle contaminazioni tra i linguaggi. Susanna Viale però ha disdegnato le sperimentazioni e ha scelto la pittura. Un po’ come agli inizi degli anni Ottanta fecero in Italia le avanguardie e in particolare la Transavanguardia, che opponendosi alle ricerche concettuali, propugnò un ritorno del pittoresco, dell’immagine e una ripresa dei legami fondamentali con l’arte dei secoli precedenti. C’è chi ha visto nello stile di Susanna Viale un richiamo all’arte tedesca espressionista, a Kirchner, Nolde, ma anche a Ensor, Munch, Kokoscha, ai fauve francesi, soprattutto per la scelta della tavolozza. Ha cominciato a dipingere da bambina e da allora non ha mai smesso di raccontare le sue emozioni con il pennello. Nel periodo in cui seguiva le lezioni di Sergio Albano il suo stile si era avvicinato al Surrealismo e al Metafisico. Nelle tele tra il ’95 e il ’97 si riconosce invece una tendenza all’astrattismo. Attraversata poi una fase divisionista, talvolta ancora presente nelle ultime produzioni, superate quelle raffigurazioni di linee e forme geometriche, Susanna Viale si è ora arrestata ad una pittura espressionista dal cromatismo acceso. Il rapporto di questa pittura con la fotografia si rivela da subito, nei tagli, nei punti di vista, nel modo di fermare sulla tela i movimenti. La Viale continua a rimanere fedele alla sua scelta di esprimersi con la pittura e di rifiutare le contaminazioni artistiche. Nel suo studio ha centinaia di fotografie, scattate durante i tanti viaggi compiuti in tutto il mondo, ma preferisce non mescolare la pittura alla fotografia, scindere il linguaggio che sente suo, anche a livello professionale, con quello che invece crede soltanto una passione. Eppure la contaminazione tra i due linguaggi esiste e per accorgersene basterà guardare “Scuola in Burkina Faso”, un quadro emblematico per capire quanto i caratteri della fotografia siano iscritti nei suoi quadri. Entrambe raccontano la realtà, anche se ovviamente la pittura ne crea una di ordine a se stante. Entrambe sono un avvicendarsi di spazi colorati. L’attenzione della pittrice è rivolta alla figura umana, al suo movimento e in particolare alla danza, ma soprattutto all’uomo inserito in una società. I soggetti dei suoi quadri sono i popoli di tutto il mondo con i loro usi, costumi, tradizioni. Le tele rispecchiano quel bisogno di Susanna Viale di raccontare gli episodi e le condizioni sociali delle persone incontrate nei suoi numerosissimi viaggi. Il suo modo di guardare è sempre ravvicinato. Le espressioni degli occhi sono colte da vicino quasi come per indagare il più possibile la personalità degli individui. Le sue non sono mai denuncie fatte a voce grossa, mai forzature espressive, piuttosto descrizioni, a volte più gioiose, a volte più sofferte. Ama mostrare il lato sociale delle culture e questo le riesce più facile attraverso il tema del lavoro e della famiglia. Coglie aspetti e diversità delle realtà in cui le persone vivono, indaga gli usi e gli ambienti con i quali negli anni è venuta in contatto. Una “Festa a Trinidad”, dei “Beduini”, una famiglia guatemalteca, dei “Monaci tibetani”, un “Mercato arabo”, uno dei suoi quadri più belli, una “Danza sugli atolli”. Ma anche di fronte a tante diversità culturali conservo ancora quell’impressione di trovarmi davanti ad una mappa. E allora raccolgo con attenzione gli spunti che la Susanna-Pollicino ha lasciato in ogni tela e alla fine riesco a fare chiarezza. I gesti di una madre verso un figlio sono gli stessi sia a Burkina Faso che in Tibet, così il bacio di due amanti, la fatica del lavoro, la gioia del far festa. Al di là delle diversità di pelle e di usanze rimane soltanto il grande episodio dei sentimenti umani.

Noi e gli altri - Ugo Perugini

Al di là di possibili considerazioni di ordine antropologico – persino troppo scontate e banali – la serie di ritratti che porta il titolo “Gli altri” costringe piuttosto a uno sforzo interpretativo di taglio più articolato, più approfondito. Le differenze somatiche delle diverse razze rappresentate da Susanna Viale in questi suoi lavori, in realtà, sono un aspetto assolutamente secondario sul quale l’Artista non intende soffermarsi troppo. E lo si nota subito. Nasi camusi, occhi a mandorla, labbra carnose sono accennati, rappresentano semplici allusioni. L’Artista va oltre il limite della razza. Il suo obiettivo, di umana e solidale compartecipazione, è quello di trasmettere un messaggio universale con l’intento di accomunare, non certo di dividere. E ciò che accomuna questa umanità dolente, impietosamente descritta ai nostri sguardi spesso impartecipi, è, appunto, la sofferenza, la paura del futuro, il dolore, la mancanza di speranza. Ben risaltata nei colori bruni, fulvi, ambrati, terrigni, carichi all’inverosimile, pastosi e nelle pennellate vigorose, energiche, scultoree nella loro capacità espressiva. Ma andiamo più in profondità nella nostra analisi. Quali sono gli elementi basilari di questi ritratti? Il viso e le mani, naturalmente. E proprio dal confronto, quasi sempre dicotomico, di questi due elementi, nasce l’originalità assoluta del messaggio della Viale. Il viso rappresenta, come noto, in quasi tutte le interpretazioni, non solo di taglio psicoanalitico, l’anima, lo spirito, il trascendente. Le mani, al contrario, simboleggiano la realtà, la fatica quotidiana, il contingente, l’hic et nunc. In quasi tutti i ritratti della serie è il dialogo o lo scontro tra questi due elementi che balza prepotentemente in primo piano. Una breve carrellata per intenderci. La mano che sostiene il viso (“Asiatica”). Le mani aperte sulle guance, quasi a proteggerlo (“Aborigeno”). La mano timida che vela un’espressione delusa (“Caraibico”). Il pollice della mano che preme sugli occhi chiusi e dolenti (“Donna di colore”). Mani quasi in preghiera, con i pollici nelle orbite oculari (“Uomo di colore”). Mano sulla fronte (“Bianco non occidentale”). Mano che sorregge (“Tibetana”). E quando la mano non è rappresentata ne rimane pur sempre una presenza fantasmatica (“Islamico”) che fa crescere lo straniamento verso una civiltà che abbiamo difficoltà a comprendere. A questo tipo di interpretazione, si presta bene anche l’opera “Piccolo Budda”: gli occhi del bimbo, grandi, sono spalancati sul futuro; la sua mano, piccola, sulla bocca socchiusa pare pronta a veicolare il Verbo di una speranza religiosa e trascendente. Mentre la mano che sorregge volitivamente il sigaro in “Spirito di libertà”, rappresenta con ottimismo e franca generosità la speranza di rivincita sociale mai del tutto sopita, in un rapporto diretto e felice tra l’idealità (viso, bocca) in grado di controllare e modificare la realtà (la mano e il sigaro acceso tra le dita), con l’auspicio che il cambiamento sia finalmente possibile. Senza sovrastrutture ideologiche o politiche forzate, che talora sviliscono un messaggio artistico, Viale quindi porta avanti con determinazione e pregevole coerenza il suo lavoro. A noi fruitori delle sue opere non resta che l’impazienza e la curiosità di conoscere verso quali strade ci condurranno ancora le sue preziose intuizioni.

Ugo Perugini. Intervento a Spiritualità nel sociale.

L’incontro con Susanna e l’amicizia che ne è nata ha dell’insolito. Prima di conoscere Susanna come persona, ho apprezzato le sue opere. Diversi anni fa, stavo lavorando a un catalogo della Giorgio Mondadori. Ho visto le riproduzioni dei suoi quadri e mi sono incuriosito. Ho fatto una ricerca, ho scoperto il suo sito e sono state proprio le sue opere a far nascere in me il desiderio di approfondire questa conoscenza. E il viaggio che ho intrapreso attraverso la sua espressività artistica, alla fine è stato anche un viaggio attraverso me stesso, una ricerca interiore che mi ha permesso di scoprire cose che non conoscevo. Non sto dicendo niente di nuovo, in realtà. La funzione dell’arte alla fine è questa. Jean Guitton, il filosofo che in età avanzata si era scoperto pittore, disse una volta una cosa molto bella: “La pittura è per me una psicoanalisi del mio profondo che fa sorgere i miei fantasmi ignorati, i miei angeli ignoti”. E tutti abbiamo fantasmi e angeli dentro di noi che non conosciamo. Susanna Viale ha intrapreso il suo percorso per scoprire e farci scoprire angeli e fantasmi. Una scoperta che si sta facendo via via più emozionante, anche perché ci conduce verso i territori inesplorati della spiritualità. Ma andiamo con ordine. Cosa dire della sua progressiva evoluzione pittorica? Della sua accresciuta ma non certo inattesa sensibilità ai temi del sociale? Dell’attenzione all’altro? Susanna viaggia molto per il mondo. Vive tra la gente. Ne assorbe i sentimenti, mentre ne esplora gli sguardi, ne scandaglia i gesti con umile e devota attenzione. Non è un’operazione documentaristica la sua, ma il bisogno di capire, di penetrare la realtà. E la sua operazione ha qualcosa di mistico. Spiego meglio questo aggettivo che può sembrare paradossale. Per alcuni la mistica è una specie di volo d’uccelli, una danza aerea, un decollo dalla carne e dalla terra verso i cieli, ma invece io la intendo come la intendeva Giovanni della Croce, quando diceva che “il mistico lavora la terra, ama plasmare il fango delle zolle rendendolo vivo, trasformandolo in creatura e parola”. E questa definizione mi pare si adatti perfettamente al lavoro della Viale. Aveva ragione il poeta Charles Peguy quando diceva: “Un mondo senza mistica diventa un mondo disincarnato!”. Viale trasfigura i personaggi e la realtà che vede. E, così facendo, compie anche un’operazione etica. La relazione etica è, per sua natura, asimmetrica. Ci viene in aiuto il filosofo Levinàs, che dice: “Il mio io si lascia interpellare dal volto dell’altro, del povero del debole, del bisognoso, e si lascia liberamente provocare all’azione senza aspettarsi niente in cambio”. Il primato dell’altro e la relazione asimmetrica portano a un senso diverso del concetto di uguaglianza tra individui. Per Levinàs, come per Viale, conta più la fraternità che l’uguaglianza. “Il fatto originario della fraternità è costituito dalla mia responsabilità di fronte a un volto che mi guarda come assolutamente estraneo” continua il filosofo… Viale, in altri termini, ci fa conoscere coloro che sono meno fortunati di noi, che sono esclusi dal circuito del benessere, che lottano quotidianamente per sopravvivere, che rappresentano, per certi aspetti, la nostra coscienza “malata”, ma che nelle sue opere non perdono mai la loro dignità, il loro orgoglio, la loro profonda, calda umanità. In un’epoca nella quale sempre di più ci chiudiamo nel nostro egoismo, nelle nostre case, innalziamo steccati, abbiamo paura degli altri, visti sempre come diversi da noi, alla fine perderemo il valore della realtà, per vivere la nostra vita non soltanto senza ideali, come già succede, purtroppo, ma anche senza senso.Ricordiamoci che il reale è essenzialmente alterità: senza alterità non c’è realtà. Gli altri sono il solo tramite che ci consente di conoscerci nelle nostre possibilità di esistere. Viale, in altri termini, con le sue opere cerca di ridare la parola a coloro ai quali era stata negata… Osservando uno dei suoi lavori più significativi, il “mercato dello Yemen”, ci si sente coinvolti in pieno: si viene colti da una suggestione di movimento, rumore, odori forti, come se il quadro fosse vivo, pulsasse di umanità con un effetto scenografico di notevole impatto che non lascia indifferenti. Di Viale mi piace la sua “forza” pittorica, la sua concretezza, la densità delle sue pennellate, la sua generosità. Una volta ho scritto che i suoi colori “gridano”. Ma è un grido di ribellione che ci sentiamo di condividere. E che ci fa bene. Vorrei a questo punto introdurre un’altra citazione che mi pare si adatti bene all’opera di Viale. Si tratta di una frase del pittore russo Vasilij Kandinskij che nella sua opera “Lo spirituale nell’ arte” scrisse: “Il colore è un mezzo per esercitare sull’anima un’influenza diretta. Il colore è il tasto, l’occhio è il martelletto che lo colpisce, l’anima lo strumento dalle mille corde”. Ecco, se la smettiamo di stare sulla difensiva, se abbassiamo la guardia per un attimo, se lasciamo che i colori delle opere di Viale, e quindi il messaggio che l’artista veicola, dalle retine arrivino liberamente al nostro cuore, possiamo dire di aver fatto un bel passo in avanti. Un passo verso la tolleranza, il rispetto e, infine, verso la libertà. Degli altri, ma anche, e soprattutto, nostra. E nel percorso verso la nostra libertà, Viale non si ferma. Desidera intraprendere la strada dello spirituale, affronta il mistero della vita attraverso strade che la conducono a un sincretismo che in certi casi può apparire azzardato ma è sempre intelligentemente provocatorio. Esaminando le due opere che fanno parte del soggetto “Degenerazioni” comprendiamo che si sta compiendo nell’artista una reazione etica di grande portata. La realtà diventa simbolo attraverso la sua ricerca pittorica. Simbolo forte, pesante come nella “sozza dea”, cioè la fama, mostro dai tanti occhi e dalle tante bocche, di fronte al quale molti si inginocchiano in adorazione e per descrivere il quale si recuperano in modo opportuno i possenti versi dell’Eneide: “…seminando non men che ‘l bene e’l vero, il male e il falso”. Come non accostare questa immagine con quelle, rese attualissime dai recenti scandali, del successo a ogni costo? Anche in “Guerre dimenticate” il discorso è intriso di messaggi simbolici, densi e dolorosi. E’ angosciante lo sguardo di chi emerge dal buio e con la mano artigliata in primo piano cerca di afferrare i teschi, quasi l’unica realtà possibile e drammaticamente concreta in un mondo che lascia poche speranze. Nelle opere che vanno sotto il titolo generale di “Evoluzione spirituale” il discorso richiede una attenzione maggiore. Ci sono lavori già maturi, vedasi “Verso la luce”, dove la scultorea nudità che rappresenta lo spirito si orienta verso il chiarore deciso della verità. E la “Spirale di Venere”, dove il trionfo dell’eterno femminino, nei corpi nudi variamente colti nei loro gesti e movimenti, raggiunge valori elevati di fascinosa provocazione. L’artista, però, è consapevole anche che sta affrontando un momento delicato della sua ricerca: deve riflettere ancora sulle scelte da compiere; scorgiamo qua e là delle incertezze, delle esitazioni, dei pudori che sono il segnale, peraltro positivo, della sua ansia di arrivare a padroneggiare ambiti spesso rarefatti e indefiniti che, se non controllati, possono rivelarsi fatue e pericolose illusorietà.